Diletta (Sottiletta): cerco di condividere con voi quanto ho scritto nella lettera motivazionale che non ho mai consegnato a Paola. “Ogni nostra scelta è mossa da una motivazione specifica che il nostro agire si avvalga del principio di razionalità e che ognuno ne approfitti per godere del risultato delle sue scelte, che esse portino lacerante gioia!”. La scelta è indice di vita e noi sentiamo di essere qualcuno quando scegliamo. La “scelta” quindi… colei che non ha neanche la decenza di guardarci… cosa saremo potuti essere e cosa non siamo. Abbiamo bisogno di vederlo quindi senza disprezzare e invidiare… inglobare la “non scelta”. Vorrei semplicemente comprendere l’essere.
Ho scritto questa lettera partendo proprio da tutto ciò che noi non possiamo decidere: la “non scelta”… capire ciò che inconsapevolmente ci ha forgiato e apprezzare quanto semplicemente si ha.
Sono già stata in altri Paesi in via di sviluppo e quindi non mi sono impressionata per ciò che è la realtà della baraccopoli anche se il tempo passato insieme ai bambini è nettamente maggiore rispetto ad altri luoghi visitati. È anche un periodo di “ricerca” per me che non ho mai ricevuto un’educazione cristiana perché sto scoprendo valori di un credo che non conoscevo.
Tommaso: è la mia prima esperienza in un “Paese in via di sviluppo”, un nuovo “modo di viaggiare” dove però non visito statue e locali particolari ma i posti peggiori di una megalopoli africana come Nairobi. Qui cerchiamo il posto disagiato ed è la prima volta che lo faccio nella mia vita. Non mi aspettavo nulla di tutto ciò che sto vivendo, non avevo idea che esistesse una situazione generale e umana così, al di là della baraccopoli… non potrà mai rendere l’immaginario collettivo che si vive qui, è difficile raccontarlo, è difficile ascoltare ed immaginare per chi sta a casa e sente parlare di bambini, di paesaggi e di vita d’Africa. Quattro giorni danno già nuovi spunti.
Diletta (quella vecchia): perché sono tornata in Africa? È stata una conseguenza naturale dell’anno passato, non per sentirmi più buona, non per essere etichettata come “missionaria” ma per “ridimensionare” un modo di vivere. Sto vivendo un “campo parallelo” per una situazione che mi tocca da vicino. Ammiro chi riesce a vedere oltre, io mi fermo ancora ai rapporti interpersonali, per me è un continuo stupore, per me anche un pupazzetto lercio, che conservo gelosamente in camera mia, donato dalla piccola Anastasia, racchiude in sé un senso straordinario fatto di racconti, storie e integrazione, senza pretese. Mi basta stare in mezzo alla gente!
Paola L.: ho rimandato la mia partecipazione per un sacco di anni, tra problemi di salute e di soldi. Ma ho vissuto i racconti di Paola e di Laura, ci sono quindi entrata in punta di piedi per capire, per venire a contatto con altre situazione disagiate oltre a quelle che vivo già nel mio quotidiano in Italia. Non è la stessa cosa! Sono una schizzinosa di nascita ma qui come si fa a non dare la mano a un bimbo che ti porta nella baraccopoli tra sporcizia e lezzo… ora non ci sono più gli odori ma ci sono loro, ci sono persone che malate con una famiglia ti fanno ridimensionare tutto. Tornerò una persona diversa, la lavatrice rotta non sarà un problema primario come lo sarebbe stato prima di partire. Tutto ciò che vivo e respiro qui è una ricchezza che spero di comunicare alle persone che amo anche se sono consapevole che non sarà percepita nella maniera che rispecchia la realtà di questa esperienza. Ci voleva forse tutto questo, anzi senza forse!
Marcello: anche per me è quasi scontato esserci! Lo scorso anno un bimbo mi aveva omaggiato di una manciata di riso per augurarmi buon viaggio al momento di tornare in Italia. Quest’anno nello slum di Bangladesh lo stesso bambino mi ha semplicemente abbracciato e accolto. Mi ha detto che sperava nel mio ritorno ma quell’abbraccio è stato tutto, un’emozione fortissima…
Lo scorso anno è stato un impatto diverso, ora c’è un approccio più costruttivo e maturo… ho provato a intavolare qualche discorso più concreto con gli adulti per “cambiare le cose” e per far capire che solo noi non siamo sufficienti, che è necessario che chi vive in queste terre deve “darsi da fare”. Ma i miei interlocutori mi svelano realtà da me disattese che mi fanno auspicare che almeno i “piccoli” possano trovare una via per crescere, per far cambiare, per migliorare un giorno! E anche se non dovessi venire più qui il mio interesse e il mio pensiero sarà rivolti ancora a questo posto qui!
Cecilia: non mi sono posta molte domande, avevo solo una gran paura di ritrovarmi da sola, di trovarmi in una situazione in cui non potevo avere una spalla o un confronto attivo. Mi preoccupava l’impatto emotivo che tutto questo avrebbe avuto su di me ma anche la compagnia che avrebbe condiviso con me questi giorni. E invece ho trovato un gruppo che non mi ha lasciata sola nell’impatto emotivo, mi sono sentita capita e non mi sono mai arresa. Dalle Sorella della Carità, tra i bimbi disabili. a Kariobangi, sono “scoppiata”… non ce l’ho fatta più e ho ricevuto quello che cercavo senza chiedere: un abbraccio di Paola e la consolazione di Diletta. Sembra ridicolo rispetto a quello che i bambini che seguiamo ogni giorno devono sopportare ma è quello che vivo e valorizzo in ogni singolo istante passato qui. Si sono sollevate molte preoccupazioni in pochissime ore.
Giovanni: non pensavo di riuscirmi ad aprire con un gruppo di persone sconosciute con cui ho acquisito una valida sintonia. Camminando per gli slum faccio incontri speciali, parlo con i bambini e mi piace riscontrare che i bambini del mondo hanno gli stessi desideri in ogni angolo di mondo. Mi impressiona la normalità dei sogni nonostante lo stile di vita ai limiti delle condizioni disagiate in cui queste piccole creature vivono.
Andrea: qui basta davvero poco per far sembrare un gesto semplice un’enormità. Sono felice! Tra le riflessioni del mattino avevo scritto che “Tutto ciò che viene da Dio è giusto”, faccio però fatica a condividere questo… perché sono arrabbiato per quello che vedo, dubbioso per quello che riscontro ogni giorno…
È però meraviglioso sentire la “speranza” che c’è in loro, ascoltare i loro sogni… ascoltare nelle loro parole un futuro atteso. Tutto ciò mi cambierà nella visione anche del mio cammino personale. Il semplice gioco condiviso per me è fonte di felicità: sono ammalato del loro sorriso… è semplicemente contagioso!
Jean Paul: c’è un’immagine che mi sovviene in questi giorni: l’Incarnazione, la venuta di Cristo che ricordiamo e festeggiamo in questi giorni. Vedere tutti noi scendere tra la polvere dello slum per cantare in cerchio con i bambini mi ha destabilizzato. La mia timidezza mi ha inizialmente impedito di aprirmi, vedere i bambini prendere le mie mani mi ha ricordato Dio che si è fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi. Senza distanze. È stato difficile tendere la mano a questi bambini ma Dio non ha avuto paura dei nostri peccati e della nostra umanità ma è venuto semplicemente per rimanere in mezzo a noi. Sono rimasto colpito anche dai racconti di Padre Felipe, quando a Korococho, spiegava di tanti bambini abbandonati nell’enorme discarica… ecco un’altra immagine che mi ha colpito: la famiglia. Qui ci sono bambini che non nascono in una famiglia formale e non ricevono una particolare educazione, ciò influisce sul futuro, sulla futura società. Sono impaurito di ciò che sarà, perché chi cresce nella violenza potrà essere violento, chi non cresce nell’amore farà fatica ad amare… ed ecco il nostro compito qui! Io ho lasciato i miei studi per venire qui, anche a giocare con i bambini perché loro hanno bisogno di questi momenti… forse non si ricorderanno di noi ma ricorderanno di qualcuno che un giorno li ha fatti giocare, sorridere, stare insieme con semplicità. È un momento solo ma sarà un momento per il futuro perché quello che si dà ha sempre un valore grande!
Silvia: queste esperienze sono arrivate “tardi” per me. Attorno ai cinquant’anni. Ho dato precedenza a lavoro, famiglia e altro ma questa tipologia di proposte mi ha colpita, interessata, coinvolta. Rimango sempre inebetita e seccata i primi giorni perché penso a ciò che ho a Roma, a tutta la mia quotidianità ma col senno di poi so che è stato il modo ideale per rimettere a posto le tessere della mia esistenza. Non sempre ci riesco ma c’è un modo di affrontare queste esperienze che danno arricchimento, sensibilità ed emozione. I rapporti che si stringono in queste occasioni sono indelebili nel tempo. Non sono meravigliata da ciò che ho visto perché lo ho già visto altrove, ma dovunque io vada mi sento a casa!
Paolo: dall’uscita dall’aeroporto la mia testa frullava pensieri e domande. Sono confuso. È uno tsunami di emozioni che mi impedisce di essere del tutto razionale. Nei momenti di massimo godimento che hai nella giornata con i bambini mentre si gioca o si canta, cresce in me la malinconia. Sono in Africa ma ho già il mal d’Africa perché temo l’addio, temo l’arrivederci di un lungo anno. Sono momenti indimenticabili ma devo mettere a posto delle cose in testa.
Gabriele: io sono alla seconda esperienza. Sto riscoprendo l’ “ospitalità” di queste terre. Io rimetto in sesto una baracca e ringrazio per l’ospitalità perché chi c’è qui ci dà la straordinaria opportunità del confronto e del dialogo, dell’incontro e dello star bene insieme. Sono opportunità che riceviamo inconsapevolmente di crescere al 100%. Sono affezionato a una famiglia con 5 bambini e a Ghidion, il raccogli-chiodi dello scorso anno. Non parlava ma raccoglieva i chiodi mentre costruivamo la baracca. Ci osservava in silenzio. Ora lui parla, lui accudisce il fratello mentre la mamma è allontanata dalla slum perché ha la malaria. Lui conquista regali per i fratelli e con lui anche altri bambini sanno cosa significa condividere, sanno offrire immagini che ci fanno sentire debitori nei loro confronti per questa meravigliosa opportunità.
La mia strada della fede invece al momento è un po’ tortuosa. Sono un po’ più “arrabbiato” con Dio perché succedono cose che non mi danno pace e non mi fanno trovare un senso. Perché devo conoscere una madre che ora è allontanata dai suoi 5 figli perché non riesce a guarire dalla malaria… non mi sta bene!!! Sono azzoppato sulla strada della fede, in ricerca o forse troppo incazzato per tutto ciò che succede.
E poi vorrei ringraziare i miei amici che con me hanno scelto di condividere con me questa esperienza. Persone che avevo “escluso” preventivamente e su cui mi sono dovuto ricredere.
PaolaPausa: sono un gendarme ma lo faccio con la volontà di rendere un’esperienza un momento di più giorni di gioiosa condivisione e con un riscontro positivo. La mancanza di P. Massimo si fa sentire anche se, se fosse qui, ci litigherei come sempre! Sono in Africa per un caso e non per una scelta pensata. Sono 10 anni che vengo ad Ongata Rongay, solo 5 che faccio campi… sento meno la puzza degli slum, cammino meno schifata dal fango e dalla spazzatura ma non cambia l’indignazione per questo. Sono situazioni umane inaccettabili che lo stesso uomo produce. Sono assolutamente contraria alla beneficienza e alla “carità pelosa” o quello che vagamente lo ricorda… non amo le adozioni a distanza, anzi le ritengo scandalose. Penso che si debba fare di più, che non si possa guardare e rimanere con le mani in mano. Sarebbe ancora più scorretto vedere e tornare esattamente come prima. Non cambiamo il mondo ma sono servizi piccoli che fanno “futuro”. Pulire delle latrine in uno slum è qualcosa di semplice e microscopico ma un anno dopo si avverte un’attenzione diversa degli abitanti nel rispetto del nostro piccolissimo gesto.
Il mio impegno, fin dalla prima volta, è stato quello di portare qui persone a conoscere, a toccare con mano una realtà per tornare con un seme dentro al cuore… chissà quando germinerà? Non importa, l’entusiasmo ce l’ho messo. Ogni volta che metto piede all’aeroporto a Nairobi sono felice, in mezzo a tutto questo ho costruito dei rapporti. Mi basta l’incontro in una baraccopoli gigantesca di un uomo che mi ha visto una sola volta e mi chiede “Sei tornata!”. Ecco la carica che mi serve per i 365 giorni successivi.
Guido: Perché sono qui? Per caso. Una malattia mia e di mia mamma mi hanno spinto in giro per il mondo a fare volontariato in giro per il mondo. Ora sono qui, a Nairobi. Sento il bisogno di “ruminare” anche questo anno, dopo quello che ho vissuto lo scorso anno. Durante l’anno passato ho cercato di far capire agli altri quello che ho vissuto, ma foto, discorsi, racconti non possono rendere per niente quello che si vive qui. Lo scorso anno dopo il campo tornai a casa e trovai mia mamma in carrozzella per un tumore alla spina dorsale: dopo un po’ di operazioni sta piano piano uscendo fuori da questa situazione, dopo ben 12 operazioni. Ho iniziato una guerra del sorriso mettendo in pratica quello che ho imparato in Africa e mia mamma, forse per caso forse no, si è rialzata finalmente.
Sono di nuovo qui in Kenya per poter riportare a casa le esperienze e metterle a disposizione di chi mi sta vicino, per poter essere una piccola voce nel deserto e dare per quanto possibile un mio contributo. Non mi sento per niente un eroe o un missionario, sono semplicemente una persona che vuole dare una mano.Oggi Fiorenza mi ha inviato una storiella su un incendio nella savana.
e la storiella dell’incendio?
un abbraccio circolare!
Vorrei il teletrasporto!
Laura
14 anime luminose.
Orietta
La fiaba africana scritta fa Fiorenza riassume lo spirito con cui muovo i miei passi qui in Africa. Narra di un incendio scoppiato nella foresta e di tutti gli animali, con in testa il leone, che fuggivano precipitosamente oltre il fiume per mettersi in salvo. Un colibrì, mulinando vorticosamente le ali, andava in direzione opposta verso il fuoco e, vedendolo, il leone gli chiese cosa stesse facendo.
“Ho una goccia d’acqua nel becco e vado a dare il mio contributo per spegnere il fuoco”, rispose il colibrì. Ecco, siamo gocce nell’oceano ma senza queste j’madamm sarebbe solo una grande pozza
Non so cosa sia il j madamm ma ignorate!
leggo ogni giorno il vs blog e vi seguo con grande emozione! credo di poter capire quello che state vivendo, lo porterete sempre con voi! nn dimenticherò mai gli occhi di tutti i bambini che ho incontrato, il loro bisogno di amore e il loro dolore! sono fiera di mia figlia e vi sono vicina!
Credo che in questo momento da voi sia già mezzanotte. Vi auguro che il 2015 inizi come è appena terminato il 2014: all’insegna dell’ impegno e della generosità. Dai vostri interventi traspare quanto amore invade i vostri cuori e le vostre menti. Per me è un particolare motivo di orgoglio sapere che Marcello, mio figlio, per il secondo anno consecutivo abbia deciso di fare questa esperienza di servizio. Un abbraccio forte ad ognuno di voi. Buon 2015!
Da una freddissima Milano (ma Roma non credo sia da meno) un caldissimo augurio di Buon 2015. Continuate a raccontarci le vostre esperienze che vogliamo seguirvi momento per momento.
Buone polpette a tutti!
T