Son passati due anni dal campo missionario eppure ancora ho il timore di non riuscire a restituire l’immagine che desidero.
Come si fa a raccontare un’esperienza che ti ha stravolto la vita, ad un mondo che molto spesso giunge alle conclusioni prima ancora d’ascoltare?
Però, sì, oggi torno lì, all’orfanotrofio di Kariobangi, e stavolta vi porto con me, così forse non ci sarà nemmeno bisogno di trovare le parole giuste, che giuste, in fondo, non saranno mai per questa storia.
Stiamo entrando, eccoci! Mi raccomando, mettetevi un po’ di crema che staremo fuori con i bambini per qualche ora e il sole brucia parecchio.
Ora andiamo da quella parte, posiamo la roba e aspettiamo che la “sister” ci dia un grembiule per cominciare le attività.
Dai non ti preoccupare, non nasconderti! È normale commuoversi quando li vedi lì, tutti allineati al sole sulla sedia a rotelle e con le mosche attorno. Ma tranquillo, loro sono davvero felici. Ti sembrerà assurdo, ma è così. Amali. E fallo intensamente, perché loro ti offriranno l’autenticità di chi non può che essere.
I palloncini invece li trovi nello zaino. Se prendi la pompa li gonfiamo così giochiamo con loro, dopo li aiutiamo per il pranzo e poi li accompagniamo nel letto per riposare. Ma attenzione in questa operazione, perché molti di loro sono completamente paralizzati e provano dolore negli spostamenti.
Sì lo so! Lui fa così perché è cieco e paralizzato agli arti inferiori. Ti tocca un po’ dappertutto per instaurare un rapporto sensoriale. Ma non ti preoccupare, accarezzalo anche tu e non esitare con il solletico. Guarda come ride!
Ti va di accompagnarmi dall’altro lato, così ti mostro il resto della casa?
Preparati a ballare perché queste ragazze madri che stiamo per incontrare amano la musica. E sii pronto a farti abbracciare perché sono particolarmente affettuose.
Quella ragazza è legata e sta dentro una cella per evitare che si faccia del male e che aggredisca gli altri. Ha una disabilità mentale ma in realtà è molto dolce. Sicuramente se ti avvicini e le sorridi, lei farà lo stesso e attraverso le sbarre ti porgerà la mano. Sarà felicissima. Non aver paura!
Io torno un attimo dall’altro lato che devo andare a salutare un amico.
Eccoci qui, ancora una volta. Eccoci, anche se non ci stai più. Caro piccolo Philip, sono tornato qui come promesso e ho portato tantissimi amici. Hai visto?
Sai che loro sono qui anche grazie a te? Quando gli ho raccontato dell’esperienza di amore autentico che ho vissuto attraverso di te, non hanno resistito. Scusami se gli ho parlato tanto di te senza averti chiesto il permesso. Ma le persone belle vanno raccontate.
E tu amico mio, pur mortificato nel corpo, sei la bellezza che acceca. Sei il vento che alimenta il fuoco dell’inquietudine, linfa della vita. Il tuo essere vivo in un corpo paralizzato, malato e abbandonato, ha scardinato definitivamente il concetto di morte e ha aperto all’eternità. Grazie per un dono così raro!
Ad oggi, per me Nairobi significa questo. Significa vita condivisa e spezzata con l’altro. Significa infinito.
Una nuova proposta di come poter stare al mondo. La riscoperta dello “stare” che si alterna umilmente ma con determinazione con il “fare”, quest’ultimo, un verbo che in alcune occasioni gratifica ma in altre non lascia spazio alla relazione.
Stare insieme per riconoscerci un unico corpo, che non conoscendo alcun tipo confine fisico o mentale, cammina unito.
Nairobi, per me, è ringraziare Dio per aver scelto di starci. Non mettendosi da parte ma facendosi “parte” attraverso i ragazzi e i volontari dell’orfanotrofio. Attraverso la nostra comunità. Attraverso tutte le persone che continuano a crederci. Viva la vita!
Un Volontario #TukoPamoja