Penultimo giorno di campo (esclusa la partenza) concluso. Giornata di saluti per il gruppo di Kariobangi (che ribadisco si legge e pronuncia KARIOBANGHI) e di mezzi saluti per l’altro gruppo, che domani ha la fortuna di passare un ultimo giorno con i bambini qui, dalle Sisters per il BanglaDAY come l’ha genialmente rinominato Margherita.
Mi sono offerta di scrivere il blog prima della messa, che poi è fortunatamente anche il nostro momento di condivisione giornaliero. Ecco, se prima di questo momento avevo una mezza idea di cosa scrivere e bloggare, essendo stata una giornata per me abbastanza positiva, ora c’è il vuoto. Neanche riesco a fare un noioso e schematico racconto di quello che ci siamo detti, anzi, quello che ognuno si è sentito di dire. Io il campo l’ho sempre pensato così: come una partita di Black Jack. Tutti allo stesso tavolo, ma ognuno ha il proprio rapporto con il banco. In questa, chiamiamola paradossale, metafora il banco è il campo e noi i giocatori seduti al tavolo che scommettono, che perdono, che alla fine si mettono in gioco. Nessuno ha il diritto o il dovere di giudicare “le giocate” altrui, ma allo stesso tempo si gioca con le stesse carte, vale a dire le stesse emozioni, esperienze, risate, lacrime.
Proverò quindi a limitarmi a trascrivere la mia condivisione e vediamo se il mio cuore riuscirà a darsi pace e trasmettere un po’ di sicurezza a queste mie tremolanti dita che picchettano sulla tastiera.
– TU NELL’INTIMO MI INSEGNI LA SAPIENZA –
Questo è lo stralcio di lode che questa mattina Laura ha scelto e che ringrazio di avermi passato. Il caso a voluto oggi fossi seduta alla sua destra. Di insegnamenti ne ho avuti e ricevuti tantissimi in questi giorni, ma ancor prima dalle riunioni a Roma. Immaginatevi un’atea e ignorante in materia che si ritrova a celebrare la messa tutte le sere e le lodi tutte le mattine. Da spararsi direte… e invece no, ma soprattutto non c’è niente di più bello che ricredersi. Mi viene in mente il blog scritto da Tommaso Gatta l’anno scorso, che parlava di un ragazzo che non crede, ma che si ritrova a ringraziare un Signore (e che personalmente si ritrova a scriverlo con la maiuscola) che si riscopre grato di una fede che in un luogo come questo, è necessaria. Non si potrebbe entrare in baraccopoli senza il “garante/lasciapassare” della chiesa. Soprattutto dopo che una famiglia ti ospita in casa sua e ti condivide la sua storia, non c’è molto altro da dire che pregare. Loro ci credono, allora io ci credo. Per loro non intendo il gruppo del campo, ma quelle persone che hanno fatto della fede la loro forza, la loro salvezza, che grazie ad essa riescono a darsi delle risposte del perché cacchio gli succedono certe cose, che grazie ad essa trovano un motivo per alzarsi la mattina, per questo confermo sia necessaria. Potrei non averci capito nulla, e magari domani i miei compagni leggendo il blog penseranno lo stesso, ma per non sapere ne leggere ne scrivere, come dico sempre, questo è quello che ho percepito. Certo loro si alzano la mattina con gli stessi motivi per i quali ci svegliamo noi, vivere la vita: ma se noi ci svegliamo con dei pattini a rotelle ai piedi e incontriamo solo strade in discesa, loro si svegliano con dei sassi al posto delle scarpe ed iniziano la scarpinata. Noi (io) dov’è che vado in discesa? Loro, anche se la salita è bella ripida, hanno per chiaro il cammino e la destinazione. Sto divagando rischiando di rendere vano un momento importante, il blog.
Ritornando alla frasetta: tre sono stati gli insegnamenti ai quali ho attinto quest’oggi. Il primo viene da una bambina, già ne ho parlato nell’altro blog, Millicent, che mi ha rubato il cuore. Oggi dai racconti di suo fratello maggiore ho scoperto che in passato è stata molto male. Ha subito un operazione e per molti mesi ha avuto un drenaggio al cervello (se è così che si dice), e ne è la prova la perfettamente circolare cicatrice che ha tra i capelli (diametro almeno 4 cm). Qua di cicatrici e segni se ne vedono tanti sui bambini, soprattutto dovute a liquidi bollenti. Non so se vi immaginate una baracca, non credo, almeno le mie proiezioni non combaciavano con la realtà, comunque per farla breve cucinano sul fuoco a terra, quindi può capitare che un bambino alle prime armi con la verticalità si aggrappi ad una sufuria (pentolone) e si rovesci addosso il bollente contenuto. Quindi sì, tanti piedini e gambine e manine ustionate o lesionate. Per non parlare delle malattie: per esempio Millicent ha la Chicken Pot (credo si scriva così ma medici lettori smentitemi con un commento), “don’t worry it’s very common” mi dice Wallace un ragazzo che vive in una baraccopoli a 20 km da quì e che ci segue nelle nostre giornate. Vabbè tolto questo e i vestiti tutti sporchi, Milli è una bambina in tutto e per tutto. Tanto lo è che dopo una giornata di giochi, è stanca. Tanto stanca da decidere di lasciarsi andare ed addormentarsi tra le mie braccia. Calcolate che qua i bambini molto piccoli, non fanno il riposino. Evidentemente si sentiva a suo agio, anche perché io inconsciamente la stavo abbracciando più col cuore che con le braccia, e me la ritrovo che dorme. Ecco, oggi Millicent mi ha insegnato a fidarmi, come lei si è fidata di me. Mi ha insegnato che a volte va bene essere stanchi, e che ci si può lasciare andare. Mi ha insegnato che è bello essere e sentirsi amati, è bello essere compresi, è bello affidarsi. Molta più sapienza in una bambina di 2/3 anni di quanto vi potete immaginare. Mi ha anche insegnato che ci vuole del tempo, e che la fiducia va guadagnata con umiltà e rispettata con saggezza, perché dal ritrovarmela in silenzio alle mie spalle, ad aggrapparsi incerta ad un mio mignolo, è passata al chiedermi di stare in braccio e regalarmi grandi inaspettati sorrisi, per poi addormentarsi tra le mie braccia. Chissà cosa vede lei in me che io non riesco a percepire neanche con un telescopio astronomico. Quindi mi ha anche insegnato che essere me stessa, a volte va bene.
Un altro insegnamento me lo ha dato Guido. Un volontario e colonna portante del gruppo, ormai, se non ho capito male, è il suo terzo anno di fila e di conseguenza è impossibile non affezionarsi ai bambini che si incontrano e ritrovano anno dopo anno. Oggi è morta la mamma di Hope, e dico morta perché le persone qua muoiono, non vengono a mancare o scompaiono, qua si muore. Tirate voi le vostre somme. Se non sapete chi è Hope andate a leggere il blog scritto da Guido qualche giorno fa, vi spiega tutto lui magnificamente. Mentre ci è stata comunicata la notizia, girata tra i bambini come un “rumours” e arrivata per caso alle nostre orecchie, eravamo tutti insieme, tuko pamoja, nella GiacomoGiacomo Square ad attaccare la nuova “insegna”, poiché quella vecchia ormai erosa. Un faro giallo e colorato nel mezzo di un posto grigio e sì, sporco. Ecco, Guido dopo essere stato a casa di Hope a parlare con le sorelle, è tornato in “piazza”, ha preso il martello, è salito su uno sgabellino, e credo con tutta la forza che gli era rimasta nel suo cuore stanco, ha fissato l’insegna al palo. Quello che mi faceva più male nell’assistere alla scena, era che Hope non era lì per guardarla perché è stato mandato da parenti in un’altra slam, e anche avere la consapevolezza che non gli ha potuto dire ciao, o comunicargli il suo messaggio di forza. Stando qua, quindici giorni l’anno, mi viene da pensare che il “ciao” sia più una cosa occidentale, ma gli abbracci, quelli sicuramente vanno oltre. Mi ha fatto male il cuore. A messa ho pianto per lui più che per Hope. Era il suo di dolore che mi volevo addossare. Guido mi ha quindi insegnato ha ad avere ben chiaro il proprio obiettivo, ad acquisire consapevolezza, ad avere pazienza, a sperare nella speranza. Banalmente, nonostante tutto.
Ultimo insegnamento di oggi, me l’hanno dato i miei compagni di viaggio con le loro condivisioni. La prospettiva di un bambino disabile che ha scritto Laura, ciò che ha fatto Tommi per quella donna “dimenticata anche da Dio”, la riconoscenza di un cugino più piccolo verso uno più grande, una sorveglianza pretesa da Paolo, un augurio sentito da Silvia.
Ieri Andre ha scritto che ho sete di conoscenza. Porca miseria è vero, e non voglio dimenticarmelo mai. E’ importante sapere, imparare, ma soprattutto farsi insegnare, visto che questi insegnamenti sono lì, sotto al nostro naso, davanti ai nostri occhi, purtroppo accecati dalla rabbia, la boria, la gelosia, la falsità, la superficialità, la fretta. Penso perciò sarebbe uno spreco ed un insulto a questa vita rimanere ignoranti.
Tuko Pamoja
Alberta
Non riesco mai ad abituarmi a quello che può accadere lì, cose bellissime, speranzose, cose che ti stracciano cuore e anima a metà…o che riescono a fare entrambe le cose contemporaneamente!
Siete forza, speranza, siete fede, conoscenza, riscatto, vita. Ci vuole coraggio per essere tutto questo
E grazie di cuore per oggi, grazie!!!
Vi abbraccio