Il canto delle cicale accompagna l’inizio della notte di un giorno passato ma è improvvisamente interrotto da un acquazzone che rumoreggia sulle lamiere delle vicine baracche e sul tetto del grande dormitorio. Un giorno diverso, un giorno non conforme alle solite aspettative dei wazungu (uomini bianchi, ndr) che rimangono ai margini dello slum, nella struttura delle Sisters, a “preparare”.
Sembra che nulla oggi debba essere realizzato nel concreto, sembra una giornata sprecata, una giornata dal sapore un po’ inutile, di quelle che vorresti riempire per “sentirti”. Ma c’è una lista della spesa che attende con 100 kg di riso, 90 kg di patate, 80 kg di carote, 25 kg di cipolle, 10 kg di aglio, 100 kg di carne di una vacca appena macellata, 120 kg di farina, 200 litri di latte, peperoni, pomodori, zenzero… e ci sono degli incontri. I wazungu incontrano giovani adolescenti e operatori sociali e nell’incontro si realizza l’inatteso ribaltamento delle previsioni. Sembra sia necessario sporcarsi le mani di terra, respirare olezzi e polvere dello slum, coccolare esclusivamente bimbi che anelano affetto, per sentirsi a proprio agio, “al proprio posto” quindi apparentemente utili a realizzare uno “scopo umanitario”. Ci piace sentirci accolti, ci piace sentirci in qualche modo motivo di gioia, ci piace esserci per gli altri! Ma oggi c’è la necessità di ribadire le proprie ragioni e ci si trova a “pulire”, chicco a chicco, un quintale di riso sotto un sole cocente, velato a tratti da nubi passeggere, a pelare patate e carote con improbabili coltelli che di affilato hanno ben poco, riversando lacrime su grosse cipolle rosse, provando il pizzicore dello zenzero su impreparati palati e vincendo la nausea di un quintale di carne appena macellata, pronta ad essere ridotta in piccoli pezzetti (ossa, grasso e frattaglie all inclusive). Perché? Abbiamo sempre bisogno di una meta per iniziare un cammino? Sappiamo però che tra poche ore, oltre un migliaio di bambini, varcherà il grande cancello di ferro del compound delle Sisters per un incontro speciale, direttamente dalle loro povere baracche, dagli slum vicini che sorgono tra rivoli di fogne a cielo aperto e latrine maleodoranti, dai giacigli ricavati in anfratti putridi… loro sono chiamati ad un incontro speciale, loro saranno i protagonisti di una rivoluzione di gioia che si sta intrepidamente (e inconsapevolmente) pianificando. Si intuisce che il lavoro richiesto è di fondamentale importanza per accogliere, per abbracciare, per condividere… si intuisce che è importante quanto quel tanto amato impegno tra polvere, odori e cuori desiderosi di incontro delle baraccopoli. Si condividono esperienze, interessi e si scambiano battute con giovani cresciuti in una stretta realtà, in una società in cui il Bene non è sempre visibile. Stiamo preparando una festa, in questo periodo in cui auguriamo ai nostri cari “buone feste”, senza darne sempre particolare significato. Si fa festa! Festa in una terra dove l’umanità è pesantemente ferita, festa dove sembra impossibile poter gioire, festa dove sembra difficile indicare e seguire un sentiero…
Lo spirito missionario che è in noi intuisce che deve esserci il coraggio della semina non quello del raccolto, ci spinge a dare la Buona Notizia e a testimoniare che il Bene ci è stato dato e nulla potrà togliercelo.
Prendiamo la nostra tovaglia di convinzioni ai quattro angoli e buttiamo tutto in aria! È una rivoluzione che parte da dentro di noi, da questo giorno apparentemente vano, vuoto, insipido… ora sembriamo pronti a rovesciare il mondo di gioia, pronti a scatenare una rivoluzione di abbracci e a fare una sommossa di tenerezza, capaci di sentire ogni ingiustizia commessa anche qui: la più grande qualità di noi rivoluzionari!
Buona fortuna wazungu, lo sbarco dei mille vi attende!
Guido
#TukoPamoja