“Il treno Frecciarossa 9574 proveniente da Firenze Santa Maria Novella e diretto a Napoli Centrale arriva e parte al binario 10. Allontanarsi dalla linea gialla”.
Mi accoglie così il mio mondo. Seduto ad un bar della stazione Termini capisco che è ora di andare a casa. Definitivamente. Prendo lo zaino e le valigie, pago il conto e “chiudo” la galleria delle immagini del mio smartphone, immagini pregne di Africa. Ma le immagini rimangono, stampate nella mia memoria, e tali resteranno per molto altro tempo ancora. Mi viene allora in mente l’immagine di quando, appena 10 giorni prima, arrivato nella stessa stazione Termini, mi apprestavo a partire, assieme a Fiorenza, per questa nuova avventura: il campo di volontariato a Nairobi, in Kenya. Sapevo che sarebbe stata una esperienza forte, ma non pensavo così tanto.
Ripenso allora agli slum di Nairobi: Bangladesh, Kware, Kariobangi, Korogocho… ripenso ai volti dei tanti bambini incontrati, alle storie delle famiglie conosciute nelle visite domiciliari, agli odori acri e densi respirati, alle mani sfiorate, agli orti biologici realizzati con i miei compagni di avventura, alla tanta povertà toccata con mano, ai bambini che litigavano per chi dovesse darmi la mano, all’immensa quantità di rifiuti abbandonati per strada o dati alle fiamme per ridurne la quantità, agli animali costretti a mangiare nei rifiuti, ai venditori di acqua potabile, all’”eroicità” delle Evangelizing Sisters of Mary, delle suore di Madre Teresa e dei padri comboniani che da soli, nell’inferno più assoluto, cercano di alleviare dolori e sofferenze agli abitanti delle baraccopoli.
Non c’è spazio però per la disperazione a Nairobi: se c’è una cosa che il Kenya mi ha insegnato è quella di avere sempre speranza..nei sorrisi dei bambini degli slum o dell’orfanotrofio, nei volti dei malati sieropositivi, nei canti corali delle celebrazioni nelle chiese, nelle parole di David o Fides (i collaboratori delle Sisters che ci hanno ospitato) splendeva sempre la luce della speranza. Nonostante tutto.
Toccare con mano è diverso dal leggere, dal sentire o dallo studiare. A Nairobi, in poco più di 10 giorni, ho toccato con mano quanto il nostro sistema economico faccia morti e distruzione, crei disuguaglianze e povertà, costringa la gente a migrare e a fuggire da posti francamente devastati materialmente e devastanti psicologicamente. Non c’è nulla di naturale nel fatto che oltre 500.000 persone debbano vivere in baracche senza acqua, luce, gas, costruite su discariche e tra fogne a cielo aperto. Non c’è nulla di naturale nel fatto che non tutti i bambini possano andare a scuola o semplicemente possano mangiare tutti i giorni. Non c’è nulla di naturale nel fatto che a quasi nessuno sia garantita una sanità pubblica o, molto più semplicemente, nessuno di quei diritti che noi, alle nostre latitudini, consideriamo basilari e “scontati”: il lavoro, la salute, la mobilità, il diritto allo studio… Non c’è nulla di naturale che al fianco di decine di migliaia di baracche del genere trovino posto università super lusso recintate col filo spinato o centri commerciali con guardie armate all’ingresso.
Eppure, in questo nulla dei diritti io ho trovato il tutto: ho “riscoperto” Dio, innanzitutto, e ne ho toccato con mano la presenza nelle suore di Madre Teresa e negli orfani da loro accuditi, nei volti dei bimbi che incontravo nelle baraccopoli e negli sguardi dei malati. Ho vissuto la dignità della povertà e la forza della speranza. Ho visto la riconoscenza nel volto delle famiglie che andavamo a trovare e ho conosciuto la generosità di chi, pur non avendo niente, sarebbe pronto a dare o fare qualsiasi cosa per te. Ho scoperto l’affetto nel volto e nei gesti di Mark, che l’ultimo giorno prima di partire, sapendo che sarei tornato in Italia, mi ha regalato un pugno di riso (probabilmente la sua cena) per il “mio lungo viaggio di ritorno”. Ho ricevuto più di quello che ho dato, alla fine.
E’ difficile dunque ritornare al mio mondo, al mio tutto, dove, invece, spesso riecheggia forte l’eco del nulla, dove tutti corrono senza sapere né il perché né la direzione. L’altoparlante ripete il suo annuncio e io attendo il treno sulla banchina. Vi salgo su e prendo posto nella carrozza. Il viaggio sarà abbastanza breve e tra poco potrò riabbracciare i miei affetti. Rifletto sulla fortuna che ho avuto nel vivere questa esperienza. Non capita tutti i giorni, infatti, di prendere un aereo, fare 7.000 km e “riscoprire” il vero senso dell’essere Uomo. Donarsi all’altro sempre, senza sapere l’altro chi sia, cosa faccia, quanti soldi abbia. Donarsi e sorridere al prossimo anche se si è in difficoltà, senza remore e senza freno.
Avere fiducia nel prossimo e costruire con lui un futuro migliore, perché da soli è vero che si va più veloci, ma insieme si va sempre più lontano.
E’questa la grande lezione dell’Africa. E’ questo lo splendido regalo di cui il Kenya e i suoi splendidi abitanti mi hanno omaggiato e per il quale non smetterò mai di ringraziare.
Marcello
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Che scorpacciata di foto!Aspettiamo le prossime puntate!
Marcello è prima di tutto un uomo. Un Uomo di sani valori.
Poi è un socio dell’Associazione di volontariato Siloe. E’ un volontario di strada che incontra la carità.
E poi di Marcello sono un amico…si dopo sono diventato un amico…perché l’amicizia è una cosa seria e non viene cosi dal nulla. Chi la sperimenta e la pratica deve essere consapevole che già sta disegnando la sua mission sulla terra.
Alla fine posso proprio dire che sono fiero di esserlo.
Nicola
È bello leggere quello che ho provato anche dagli occhi dei miei compagni. Marcello, il tuo racconto è meraviglioso!
meravigliosa è l’esperienza che abbiamo vissuto… 🙂