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‘Il Signore protegge lo straniero’.

Questo il passo del Salmo delle lodi mattutine che abbiamo recitato e che ha ridondato nel mio vicino e che mi è stato consegnato nel bigliettino.

L’ho tenuto in tasca e subito dimenticato. Anzi ho pensato che fosse persino scontato e banale in un campo in Kenya.

Eppure è bastato arrivare ad una delle sedi della Daniele Comboni Vocational Training School, dove oggi abbiamo svolto la nostra attività per ricordamelo.

Sono passate neanche due ore e non tanto il biglietto, quanto piuttosto un odore (Freudianamente parlando libere associazioni), mi ha spalancato narici, cuore e mente.

Una puzza. Quella che può schifare, anzi lo fa. Ebbene la stessa precisa identica puzza che ho sentito il 14 agosto scorso al porto di Lampedusa all’arrivo di un barcone e che subito ho colto come una chiamata.

Puzza che questa estate sembrava un po’ confusa e che poi le faccende autunnali, sebbene in ottobre avessi deciso per il campo in Kenya e l’avessi intuita come parte di quella chiamata, pareva essere stata dissolta dai profumi che adoro e che inebriano le mie giornate.

La giornata e’ proseguita e quella puzza l’ho cercata, l’ho assaporata . Abbiamo giocato a pallavolo, abbiamo cucinato insieme, dipinto insieme (guardatevi le stories che giacomogiacomonlus oggi sui socials ha condiviso) ed è’ inutile scrivere che è stato bellissimo.

Dopo pranzo, ci raduniamo e chiacchieriamo un po’ con Padre Maurizio. Parla della puzza del povero che asfissia, parla del razzismo che non dobbiamo spaventarci di ammettere, parla del rispetto e di quella punta di piedi con cui dovremmo noi italiani venire qui, parla di un’ideologia della povertà ridicola e ipocrita, parla di riscatto, di sogni che questi ragazzi devono avere.

Quei sogni che in Agosto fin dalla prima sera in cui oltrepassai il controllo del porto e mi avvicinai a quei ragazzi che arrivavano a Lampedusa sognando, avevo letto chiari e limpidi in centinaia di sguardi che cercavo disperatamente. Li ricordo uno a uno, vi giuro!

Oggi, siamo solo al secondo giorno di campo, li ho ritrovati. Ho ritrovato la puzza e ho ritrovato quella parola ‘straniero’ che già il salmista proclamava con una certezza: sono protetti dal Signore.

‘I’m not a racist, but’ . Quante volte l’abbiamo detto o forse solo pensato.

Ebbene io stamane ho capito che amo la puzza della povertà e che non è mio compito eliminarla con corsi di igiene o consegnando abiti lindi. Così come sono consapevole che non sono per una vita di povertà, né per scelta consapevole o religiosa e neppure come costume da indossare, tipo le Birkenstok (come tutti qui al campo, io per primo e sono fighissime).

Amo la puzza fastidiosa della povertà e basta.

Non sarò capace di proteste o di class action contro sistemi economici e politici. Anzi non sono convinto che servano.

Ho chiesto alla Messa questa sera con tutti i miei compagni di campo (li sto sentendo ridere e divertirsi in refettorio, l’esperienza e’ anche questo ed è uno dei miracoli) di avere migliaia di occasioni di sentirla.

La vorrei percepire, abbracciare e a tratti con il mio silenzio, altre volte con azioni semplici eppure concrete, accompagnare.

Il Signore protegge lo straniero. Lo straniero che è in pericolo, lo straniero che non è a casa e quindi è confuso, lo straniero che cerca una nazione, un locus, lo straniero che insegue un sogno.

Io lo so che il Signore lo ha fatto, lo fa e lo farà.

Ora tocca a me aiutarlo in questa promessa.

Riccardo

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