PAOLA “PAUSA”: da questa notte inizia un nuovo cammino, condotto da riflessioni fatte a tutto tondo sulla nostra vita, mettendoci in discussione a confronto delle genti di queste terre. Domani si riprende dalle piccole cose, ma possiamo cambiare solo se pensiamo che dobbiamo cambiare. Per molti è stata la prima esperienza, per me è stata la quinta ed è stata caratterizzata da novità quindi diversa sia per persone che per eventi. Sono sorpresa da quando i genitori di coloro che incontro mi dicono “che ci mando a fare mio figlio ancora? Lo ha già fatto!”. Sarebbe bello, potendo, sostenere un’esperienza nel tempo, non un viaggio turistico ma un modo diverso per viaggiare, crescere. È una mia piccola missione quella di far “provare” queste occasioni. Se questa esperienza ti tocca nel profondo non può risolversi solo in pochi giorni a Nairobi, dobbiamo dare dimostrazione nella nostra quotidianità… io lo farò e continuerò ad essere felice di condurre qui vecchie e nuove persone nell’incontro con la gioia tra esperienze dure e forti.
PAOLA “DUE”: torno a casa contento portando la gioia di un’occasione che mi ha cambiata (non solo in questi giorni). Sono contenta anche perché mi sono sorpresa di me stessa perché “mi sono messa alla prova” con una serie di difficoltà che ho sempre incontrato nella vita. Ho fatto cose che per me non erano scontate con estrema spontaneità. Mi porto in valigia tutte le emozioni gioiose e dolorose, quelle che accartocciano il cuore, me le porto in modo che non si rompano strada facendo, così che non vengano maltrattate nella valigia. Mi porto dietro la speranza che questa esperienza si ripeta. Ho conosciuto meglio alcune vecchie conoscenze e sono stata bene tra tutti voi più giovani. Arricchita spiritualmente!
TOMMASO: inizio dall’ultimo giorno! La gita di oggi ci voleva per cogliere l’essenza di un posto, ha completato il mio puzzle. Se mi cambierà o meno non lo posso dire adesso, sono giovane, ho solo vent’anni. Non cambierà la mia quotidianità ma penso che qualcosa certamente resterà in me. Gli incontri, ciò che ho visto e ciò che è stato resterà. Niente filosofie, vediamo ciò che sarà, non so se tornerò… per ora ho la consapevolezza di aver vissuto qualcosa di importante.
ANDREA “PIERO”: rifarei questo viaggio altre mille volte, il contatto con questa realtà mi ha scioccato ma mi ha reso consapevole delle fortune che ho: dalla casa, alla scuola, alla cura della persona. Qui si vive ai limiti delle umane possibilità e mi rendo conto di come si vive solo qui: ho cominciato a dare valore ad un bacio e ad un abraccio. Ho capito cosa significa “ingiusto” vivendo e lavorando a Bangladesh, nello slum. Mi porto a casa tanto, dire tutto sarebbe impossibili. Ma lo sguardo e il sorriso dei bimbi, i loro abbracci e le loro mani mi hanno emozionato. Sono felice di averli resi felici… dentro di me mi resterà molto di più di ciò che ho espresso ma la commozione per ora mi blocca!
JEAN PAUL: ciò che sento è un rendimento di grazie. Grazie a voi miei compagni di viaggio per tutti i momenti vissuti insieme. Per me è la prima volta che passo un momento di condivisione (con italiani!) del genere. Ciò mi ha aiutato a migliorare anche la mia lingua, mi scuso per le mie imprecisioni, ma prometto di fare sforzi per imparare ancora di più. La vostra velocità espressiva mi ha aiutato a tendere l’orecchio e in questa esperienza non mi aspettavo neppure questo. Sul campo umano e spirituale, incontrare la gente d’Africa, distante da me, mi ha fatto sentire accolto, soprattutto dai bimbi. Il gioco è stato un mezzo per entrare in contatto con loro e ciò mi ha toccato. Ho apprezzato la fatica di questa gente, collaborando nella costruzione della baracca di Josephine. È aumentata la mia consapevolezza sugli sforzi fatti per una famiglia, apprezzando in particolar modo anche le visite fatte nelle famiglie di Bangladesh. Sono entrato a contatto con famiglie con genitori separati, padri violenti ma anche con famiglie in cui l’amore regna. Ritorno a Roma con la speranza della gente dello slum. Quando piove un uomo non può riuscire a dormire pensando alle baracche dello slum da cui si vede il cielo…
PAOLO “PICCIO”: porto a casa i legami di questo gruppo da cui ho imparato qualcosa, da cui ho tratto spunti di riflessione o anche di sola gestione di situazioni ed emozioni. Ma soprattutto porto a casa i legami delle persone incontrate! Le emozioni e gli insegnamenti assorbiti sono tanti ma vanno rielaborati e tolti dalla confusione con cui li ho messi in valigia. Ora devo metabolizzare e rivalutare anche il mio modo di vedere ed osservare le situazioni che qui ho vissuto. Qui il superfluo viene evidenziato e su di lui hanno la meglio i saluti, i baci e gli abbracci ricevuti e distribuiti. Ecco, faccio un discorso di priorità e voglio portare a casa spunti per saperle gestire. Ho 12 mesi per sfruttare questi 10 giorni, per tornare ancora un giorno qui!
CECILIA: in valigia porto le esperienze pregresse e quelle di questi giorni. Porto sorrisi, felicità e gioia… porto le loro immagini negli occhi. Ringrazio chi mi ha permesso di fare questa esperienza e ringrazio anche coloro (voi!) con cui ho condiviso questa esperienza!
Ho bisogno di esperienze di questo tipo, non ho paura ma ho desiderio di tornare qui!
DILETTA “VECCHIA”: ringrazio per la ricostruzione di una casa di Bangladesh, la casa della “mia” Marion, è stata come ricostruire un pezzo di casa mia! Quest’anno per me è stato più complicato tanto è vero che non sono riuscita a riordinare i pensieri, disordinati e confusi. Non ho scritto il mio diario e mi sono “confidata” poco. Sono comunque contenta perché non mi sono abituata, nel bene e nel male. Mi sento di augurarmi di continuare a stupirmi, di tornare a Roma e continuare a stupirmi. Mi fa anche paura tornare a casa, farmi una doccia calda e nutrirmi… lì capirò il distacco e confido nel fatto in una reazione tale da darmi la forza di poter scegliere… per me non è stato sempre facile. Io devo scegliere, perché ci sono persone che qui non lo possono fare. Non scegliere sarebbe uno schiaffo morale alla fortuna. Devo prendere in mano determinate situazioni e smetterla di piangermi addosso. Mi faccio un augurio quindi: “continua a stupirti e scegli”. Concludo con un verso di “Barabba” una canzone: “Ma la faccia scomoda dei bambini africani, la fierezza negli sguardi degli uomini cubani è un cazzotto che ci giudica continuamente e dice cerca di essere uomo prima di essere gente”.
GIOVANNI: sono arrivato qui fissato su banalità e cose futili, circondato da cose vane. Qua, in pochi giorni, aiutando e collaborando, non mi sono sentito “valere poco”, qui mi sono sentito fiero di me stesso. Poi mi sono reso conto di essere intrappolato in cose futili…
Anche le visite familiari mi hanno sollevato in qualche modo… ho posto un confronto continuo con la mia situazione personale. Mi sono sentito turbato a volte ma mi è piaciuto condividere, dare in qualche modo speranza. Grazie per questa esperienza.
GABRIELE “GABBO”: ho fatto diverse esperienze simili a questa sia perché mi ci sono ritrovato sia perché ho una certa tradizione familiare alle spalle. Io avevo un po’ paura di questo gruppo, perché avevo paura che non ci fosse possibilità di continuità. Mi sono dovuto ricredere. Io per primo nelle mie prime esperienze mi ero approcciato molto male e invece qui ho trovato persone che hanno saputo gestire le proprie emozioni. Mi ha colpito una reazione positiva di Tommaso in una visita familiare, mi hanno colpito le parole lette da Andrea… io faccio “congratulazioni” e dico “grazie” e lo dico con cuore sincero a tutti voi. Bel campo, diverso dallo scorso, diverso da quello che verrà! Per quanto mi riguarda una volta non bastava, due neppure. I bambini si ricorderanno dei muzungu ma non di tutti, una volta non basta, due nemmeno.
Mi ha fatto piacere incontrare ancora anche giovani ed adulti. Mi ha stupito il guadagno del carpentiere che ha collaborato con me ma ancor più il modo di “dirmi grazie” accontentandosi del “poco” e di una bottiglietta d’acqua… il suo impegno, il suo rispetto, la sua umiltà e la sua grandiosa dignità. Lui “fa molto più di quel che può”… e noi? Lo scorso anno avevo notato meno perché ero un novello di queste esperienze. Quest’anno ci sono state sorprese, ho dato solo una spallata alla porta ma la devo aprire quindi… mi sa che non è l’ultimo anno.
MARCELLO: esperienza numero due. Mi mancava questo posto… e ora cosa mi porto a casa? Mi porto una cosa di ciascuno di voi… anche se sono stato molto più silenzioso e riflessivo. Mi porto con me la lunga passeggiata e la chiacchierata con i bambini nella savana attorno allo slum. Mi porto l’emozione delle visite. Mi porto la bellezza della baracca costruita lo scorso anno e ora dignitosamente vissuta. Costruire baracche per costruire il presente. Giocare con i bambini per costruire il futuro. Mi rimane però un senso di ingiustizia che mi fa girare le scatole! Torno a Napoli e ci saranno le “calze della Befana”… ma che contrasto è con questa realtà!
Avere o essere!? È meglio essere… qua “sono” ma come campano?!
Noi qui più che carità abbiamo dato una semplice mano, la soluzione forse è l’ “impegno politico”… l’economia e la politica possono cambiare le cose…
Auguro pace alle giovani vite di queste terre, auguro loro di non abbattersi.
SILVIA: mi “allaccio” alle tematiche di Marcello sulla giustizia perché rientra un po’ nelle mie quotidiani mansioni. Ritornando a Roma auguro di avere una “pienezza di spirito” per comunicare. Io non so se sarò in grado perché spesso dico quello che penso e non risulto proprio simpatica. Alla mia età non c’è un cambiamento caratteriale ma viene a mancare, soprattutto dopo queste esperienze, la tolleranza ai problemi della nostra quotidianità. Porto la consapevolezza di essere stato al posto giusto nel momento giusto augurandomi di metterla a frutto nella maniera più positiva, nel trattenermi di reagire alle vanità quotidiane!
DILETTA “SOTTILETTA”: parto da una metafora perché ho scritto poco in questi giorni rispetto al solito… cosa non usuale per me. Ho scritto un racconto ispirata da questa esperienza in cui è contenuta questa metafora. Se piove poco non te ne curi e ti lamenti, allo stesso modo con le emozioni. Ma quando ne arrivano tante è difficile gestirle. Se diluvia tiri fuori l’ombrello, ti lamenti e tiri fuori l’ombrello schermando ciò che viene dal cielo. Non ho espresso le mie emozioni… non ho pianto pubblicamente… una donna mi ha commosso perché mi ha preso alla sprovvista raccontandomi la sua storia di malattia, di tragedie familiari e di piccoli e grandi problemi. Ho intravisto il coraggio di una donna, la sua conoscenza e la sua invidia sincera per la mia “normalità”.
Esperienza molto positiva nel complesso, dove ho ricevuto anche dai miei solidali compagni di viaggio. Non sono nuova a queste esperienze… tuttora non mi ha “impressionato” però sono rimasta stupita dai miei compagni. Non tornerò felice, perché sono un po’ arrabbiata anche io, avvertendo un senso di ingiustizia; non mi cambierà la mia quotidianità ma qualcosa si smuoverà nel rapporto di condivisione vissuto.
GUIDO: è ancora più difficile quest’anno, è la seconda conclusione di un campo qui in terra d’Africa ed è ancora più complicato metabolizzare quanto vissuto e assaporato. Mi riservo, nei prossimi giorni, di cominciare ad aprire la mia “valigia d’Africa” consapevole di aver fatto la parte del colibrì nello spegnere “l’incendio nella foresta” della favola africana già condivisa. Ritorno alla mia quotidianità, nella mia comunità consapevole di avere grandi risorse che ho ricevuto qui e che dovrò mettere in opera tra le difficoltà “di casa”. Torno a casa pronto a raccontare e a cercare di rendere minimamente consapevole chi mi circonda. Porto a casa anche un racconto che mi toccherà narrare simbolicamente davanti a colui che ha voluto congedarsi dal mondo in questi giorni, anche se son sicuro che da lassù già sa tutto. Quindi porto al mio nonno, il mio Kenya, e poi lo diffondo a coloro che con me condividono i passi di questo cammino chiamato vita.